Un po' di storia
cometa bennett

 

Il mio interesse per l'astronomia cominciò nella primavera del 1970; mio zio Alberto, che da bravo contadino si alzava prima dell'alba, aveva notato che nel cielo del mattino appariva una "stella con la coda" e me ne informò. Oggi può apparire strano che una notizia del genere possa essere divulgata in questo modo, ma a quel tempo, nel piccolo borgo dove abitavo, le notizie viaggiavano lente e la trasmissione porta a porta era la più usata. La prima mattina serena mi alzai armato di macchian fotografica e cavalletto e potei riprendere la cometa nei campi antistanti bassa verso l'orizzzonte di Sud-Est. Si trattava della Cometa Bennett C1969Y1 una delle più belle e luminose comete apparse nei nostri cieli. Quella meraviglia mi colpì parecchio e da allora ho sempre avuto un grande interesse per i fenomeni astronomici . In quegli anni l'inquinqamento luminoso era molto contenuto e con una normale pellicala in B&W unita ad un filtro rosso si riusciva a coglier le nebulose della via Lattea come la foto a destra ripresa con un normale 50mm .

via lattea
Trascorse qualche mese, ma ormai l'idea di osservare il cielo con il telescopio si faveva sempre più prepotente. Allora però non c'erano riviste o siti internet e acquistare un telescopio era un problema, sia per il costo che per la reperibilità. Finalmente conobbi il Geom. Recla che mi fornì un obiettivo acromatico della Jager americana da 72 mm di diametro, nel frattempo avevo trovato il libro "L'astronomo dilettante" di P. Andrenelli (un capolavoro per quei tempi) e preparai una montatura equatoriale con moto orario con cui potevo fotografare il cielo con una reflex in parallelo. Purtoppo le prime foto sono andate perdute e mi dispiace, perchè allora, da casa mia, era ben visibile la Via Lattea e le foto mi mostrarono le prime nebulose e i primi ammassi. rifr. bol Lo strumento però era privo di riparo e ben presto emersero i problemi. Una cupola allora era impensabile; preparai un riparo costituito da quattro pareti in ferro e lamiera zincata con un tetto che si spalancava in due parti, almeno le ottiche erano salve. A Bologna nel 1972 conobbi Giancarlo Sette che mi fece conoscere un rivenditore di surplus militari, qui comprai un obiettivo da fotaerea da 150 mm di diametro corretto per il formato 13X18 che per il suo peso naturalmente richiese una montatura adatta che comprai da Marcon di San Dona di Piave. Il rifrattore divenne il tele di guida tele 200 . Non passsò molto tempo e comperai sempre da Marcon l'ottica di un newton da 200mm e con l'aiuto di amici riuscii ad intubarlo con un enorme cuscinetto che ne permetteva la rotazione sul suo asse. Con questo strumento ottenni non poche soddisfazioni e immagini di buona qualità. Ma questa è la preistoria.

Nel 1977 decisi di costruire un telescopio più grande e ordinai a Marcon l'ottica in una combinazione newton da 400mm. Ci volle parecchio tempo, ma nel frattempo preparai l'intera montatura in equatoriale con movimenti su entrambi gli assi, ciò fu possibile gerazie al l'aiuto di alcuni amici che potevano usare un'officina specializzata. Dopo 18 mesi il tele era pronto e venne montato in una nuova struttura dietro casa dotata di tetto scorrevole, peso completo circa 300KG. Comprai anche (da Zen costruzioni ottiche) un rifrattore acromatico da 150 mm F15 che fu posto in parallelo e usato come guida. Come macchina fotografica usavo una Canon F1 , ma le pellicole di allora non erano adatte alla foto astronomica e i risultati lasciavano a desiderare.

 

m102 lit velo lit Nel 1979 riuscii a comprare negli USA una buona pellicola per astronomia, la Kodak 103aE, che diede ottimi risultati abbinandola ad un filtro rosso. Costruii anche una camera fotografica per supportare il nuovo formato , poichè le lastre e le pellicole venivano fornite nel formato 4x5 pollici, Le tagliavo in due, dato il costo esagerato e ne sfruttavo il cerchio centrale. Qui alcuni esempi di immagini di profondo cielo ottenute con il nuovo tele quando il cielo era ancora discreto. Conobbi, nel frattempo, Ermes Colombini che mi insegno lo studio dei pianetini o meglio le misure astrometriche di questi oggetti. Non era facile dato che non esistevano ancora i PC a livello amatoriale, ma il problema più grosso era la magnitudine: bisognava raggiungere almeno la 16 con pose brevi. Nel '80 rifecero l'impianto di illuminazione pubblica e fu un disastro; si poteva leggere tranquillament il giornale vicino al tele. Per fortuna mio suocero aveva una casetta sulle colline moreniche del Garda in località Cavriana. Fatte alcune prove fotografiche decisi per il trasferimento. nord lit m31 lit
CAVRIANA
A Cavriana il cielo era buono e si vedeva la Via Lattea fino oltre il Sagittario, qui a finco due nebulose riprese con un tele da 200mm. Foto del 1979, ora non è più così A Cavriana c'era il problema della sicurezza essendo la casa isolata in mezzo a vigneti e boschi. Trovai una soluzione ricavando un foro nel tetto a due spioventi e inserendo un telaio scorrevole orizzontalmente. L'esterno era rivestito in vetroresina ondulata e sotto uno spessore di 5 cm in espanso come isolante.
Tra lo smontaggio e il rimontaggio passarono parecchi mesi, Nel frattempo nacque un sodalizio con alcuni amici : Ivano Rocchetti, Maurizio Ruzza e Giorgio Vesentini che durò una decina di anni. Qui a sinx li vediamo dopo il trasporto nel nuovo sito. Il nuovo osservatorio fu dedicato a G. Bruno. Furono necessari parecchi interventi per ottimizzare lo strumento poichè si erano avviate ricerche in più campi , dal profondo cielo, alla foto planetaria , anche se il maggiore impegno fu da subito per la ricerca dei pianetini. Le soddisfazioni più grandi vennero comunque dalle osservazioni visuali che il diametro e il buon cielo permettevano.

Gli strumenti principali erano tre : il 40cm con tre possibilità di fuoco: Newton sia sul lato Ovest che sul lato Est, primo fuoco o fuoco diretto, visibile qui a sinx, dove era inserita una camera circolare che portava un negativo ritagliato tondo e aspirato, non era dotata di otturatore perchè bastava togliere il tappo. Su lato rivolto allo specchio si potevano inserire i vari filtri. Nella parte superiore si trovava il tele di guida un acromatico da 150 mm F/15, dotato di basculaggio per la ricerca della stella di guida; nella parte inferire era agganciata una camera di Schmidt autocostruita di cui parleremo più avanti

C'era infine un terzo fuoco praticamente un Cassegrain con focale equivalente di 40 metri ( il secondario aveva un fattore di moltiplicazione X20) che si rivelò l'ideale per le riprese planetarie. Per quest'ultime avevamo costruito una speciale camera fotografica che usava una reflex più un particolare accessorio che permeteva di registrare molti dati importanti su un lato del fotogramma. Inoltre era dotata di una slitta per il cambio dei filtri. Il fuoco usciva davanti allo specchio principale attraverso la deviazione di uno specchietto piano terziario.
Il fuoco Cassegrain con i suoi 40 metri di fuoco permetteva buoni risultati sui pianeti e sulla Luna (beninteso per quei tempi) . la configurazione era stata suggerita dal trio bolognese Vacchi, Sassi Sette, che erano all'avanguardi in Italia, anzi le loro immagini planetarie erano state usate dalla NASA prima del lancio delle sonde interplanetarie come il Voyager. Che vantaggi aveva ? Era possible ottenere una immagine sufficientemente grande di Giove (circa 1 cm all'opposizione) con due solo elementi ottici : i due specchi del Cassegrain, senza l'introduzione di ottiche supplementari. Inoltre venivano registrati alcuni dati importanti: Il nome dell'osservatorio, la data, l'ora, il tipo di pellicola e l'eventale filtro usato. Lo spostamento delle lancette dei secondi indicavano infine la durata della posa. Il seeing rimaneva il vero ostacolo dato che le pose mediamente erano di 2-3 secondi, in una notte, però si scattavano centinaia di foto e ogni tanto si otteneva un buon risultato. Qui accanto alcune immagini scelte in tre notti consecutive durante un periodo di tranquillità atmosferica, come si può notare i tempi di esposizione erano enormemente lunghi rispetto a quelli attuali ottenuti con i CCD. Anche la Luna , ovviamente non veniva dimenticata e spesso era ripresa al Cassegrain o al newton con l'interposizione di un sistema di allungamento della focale , in questo caso una lente tipo Barlow.
Il profondo cielo veniva ripreso al primo fuoco e ancor oggi ritengo che sia la configurazione migliore, poichè oltre ad avere un unico elemeto ottico, era praticamnte esente dai disturbi di luce parassita. Le pellicole commerciali, purtroppo non erano adatte alla fotografia astronomica per il coseidetto difetto di reciprocità e le vecchie Kodak 103a N erano ormai introvabili, per fortuna la Kodak inventò la 2415 o 4415 ( formati diversi). Era una pellicola ad alto contrasto e con grana molto fine, inoltre i trattamenti di ipersensibilizzazione permettevano di registrare con tempi di posa misurabili a decine di minuti. Era una tecnologia spventosamente lunga, si doveva iniziare al mattino cuocendo le pellicole in una tank riempita di idrogeno sperando in una notte favorevole . Terminata l'esposizione si doveva sviluppare con bagni speciali, ponendo molta fiducia nella fortuna , comunque in una notte si ottenevano 2-3 immagini discrete e altrettante andavano perdute. A sinistra possiamo vedere un esempio sulla nebulosa NGC 6960 con una singola posa di un'ora filtrata con un filtro rosso. Sa la Kodqak funzionava bene con le nebulose rosse non altrettanto bene con le galassie e e con il blu. Trovammo buona la Agfa CRH 18 con la quale abbiamo ripreso le Pleiadi qui a destra. Uno dei migliori risultati fu questa M42 ripresa sempre al primo fuoco con un'ora di posa. L'immagine originale è stata successivamente trattata con una maschera sfocata, tecnica che avevo appreso dall'australiano D. Malin. In camera oscura si otteneva una serie di positivi sfocati che venivano montati a registro sull'originale permettendo un livellamento dei toni e contemporaneamente un aumento del microcontrasto. E' stata la prima elaborazione fotografica durata settimane. Fu premiata con un bell'articolo su l?astronomia e un secondo posto ad un concorso di astrofotografia.
I PIANETINI

Cavriana era stata scelta anche per lo studio dei pianiteni, con il suo cielo avrebbe consentito di raggiungere una buona magnitudine; questa ricerca era iniziata nel 1978 a Verona dove il Minor Planet Center ci aveva assegnato il codice 560. Il trasferimento a Cavriana richiese un nuovo codice e ci fu assegnato 571. La misura astrometrica di posizione negli anni 80' richiedeva un grosso dispendio di tempo e di calcolo, non esistevano i PC e bisognava arrangiarsi con una semplice calcolatrice. L'università di San Pietroburgo forniva il catalogo dei pianetini noti e le relative effemeridi, per il catalogo stellare esisteva il S.A.O. in quattro grossi volumi, da dove si poteva attingere alle posizioni delle stelle di riferimento e il relativo moto proprio.

Come si operava: quando il tempo prometteva sereno si cominciava dal mattino con l'ipersensibilizzazione delle pellicole. alla sera si sceglievano i campi dove riprendere possibilmente con un oggetto noto e la speranza di trovarne uno nuovo. Normalmente due esposizioni da 10 minuti separate da un intervallo analogo, la notte stessa si sviluppavano i negativi e il giorno dopo si passava al controllo e alla misura. Tutte queste operazioni si facevano da casa dove avevo attrezzato un locale co le varie apparecchiature tutte autocostruite. la sequenza era questa : esame al bilnk comparatore ricerca di oggetti noti ed eventualmente nuovi, scelta delle stelle, misura delle posizioni.con un macromicrometro, scrittura dei dati secono le indicazioni del M.P.C.

Qui a sinistra il comparatore bilink autocostruito. A destra il misuratore , la precisione era di 1/100 di mmm su una scala di 50 mm , ma si potevano apprezzare anche i micron, anche questo strumento era autocostruito.

Il blink consisteva in uno strumento ottico particolare che permetteva la visione alternata delle due immagini esattamente allineate, le stelle apparivano ferme, mentre i pianetini apparivano saltellare (vedi foto in alto a Sx) dato che occupavano posizioni differenti. Questa era l'operazione più importante e richiedeva molto tempo e attenzione. La fase successiva era la misura della posizione delle stelle e del pianetino. In pratica si disponeva la pellicola su un piano scorrevole su due assi perpendicolari e con un microscopio dotato di reticolo si individuava il centro dell'immagine stellare leggendone la posizione sui due micrometri centesimali. L'apparecchio richiedeva grande robustezza e assoluta precisione dato che l'errore massimo consentito dal M.P.C. era di un secondo d'arco. Ma tutte le difficolta vennero risolte con mesi di prove e verifiche e alla fine le tolleranzre furono rispettate. Ottenuta la posizione sulla lastra occorreva trasformarla nella posizione astronomica. Qui il merito va tutto all'amico Ermes Colombini che fu in grado di scrivere le equazioni matematiche per la trasposizione. Una piccola calcolatrice scientifica permetteva il calcolo, ma con tempi lunghissimi. Ricordo che per la prima misura ci volle quasi l'intera giornata, anche perchè tutti i risultati dovevano essere comunque accuratamente verificati. Giusto per fare il punto , oggi con moderni mezzi la ripresa, il blink, la misura e l'invio dei dati non dura più di mezzora.

Ci vollero più di due anni per imparare il mestiere, con tante misure e tanti grattacapi, ma arrivò anche il premio. La notte del primo novembre 1983 ben due nuove scoperte confermate dal M.P.C. con due sigle provvisorie 1983VC7 e 1983VD7. Per ottenere la sigla definitiva occorrevano altre misure, ma bisognava aspettare le opposizioni successsive, poichè la magnitudine era al limite dello strumento. Finalmente nel giugno del 1989 la magnitudine di 1983VC7scese intorno a 16, ma l'oggetto aveva una declinazione di -25 e si trovava vicino al centro della via Lattea immerso in un mare di stelle. L'occasione si presentò la notte del 6 giugno 1989, dopo un temporale il cielo si aprì incredibilmente trasparente e verso le tre riuscimmo a rintracciarlo. Intanto si erano accumulate altre misure e il M.P.C. gli assegno la denominazione definitiva con il numero 4335 e con la circolare del 10aprile 1990 fu battezzato con il nome VERONA in onore della nostra città. La scoperta fu anche posta in rilievo da un articolo intitolato " Un pianetino scaligero" pubblicato su l'Astronomia N°107 del Febbraio 1991 di cui vediamo la prima pagina qui a lato

LA CUPOLA
Cavriana aveva il vantaggio del cielo, ma presentava la scomodità della distanza, non era molto lontana , meno di 30 Km, ma il viaggio tra andato e ritorno richiedeva almeno un'ora e mezza, costringendomi spesso a rinunciare a interessanti fenomeni astronomici. L'astinenza procurò la voglia di un secondo osservatorio comodo dietro casa. Trovata l'ispirazione progettai e costruii una cupola emisferica nel 1988 che è tuttora usata dopo varie modifiche . Nella immagine a sinistra si possono vedere le varie fasi di costruzione con metodi e strutture piuttosto basilari , però funzionanti. a destra la cupola com'è attualmente , in particolare è stato aggiunto un prolungamento sulla finestra con il duplice scopo di aumentare il diametro ( interno 3.5 metri, esterno massimo 4.7 m) e di proteggere come un paraluce dalle luci parassite esterne.

Nella cupola ci voleva uno strumento e sapendo di poter lavorare solo sulla Luna e sui pianeti pensai ad un telescopio modello Tri-schiefspiegler cioè a tre specchi inclinati, che sulla carta presentava caratteristiche eccezionali ed era allora di moda soprattutto fra gli astrofili tedeschi e americani . Fortuna volle che ne trovssi uno da 250 mm di apertura, di seconda mano ad un prezzo accettabile. Era uno strumento pesante ed ingombrante che necessitava di una montatura adeguata. Preparai quindi tale montatura a forcella dotata di un grade disco orario che fungeva sia da asse polare che da ruota di trascinamento. Il tutto era dotato di moto orario e di correzione sui due assi. Nonostante la robustezza l'inseguimento ad una focale di tre metri e mezzo non era esente da problemi , ma per l'osservazione planetaria era più che sufficiente. La resa visuale si potrebbe definire buona, e in rari momenti ho percepito buoni particolari sia sulla Luna che sui piaaneti, era , però terribilmente sensibile alla turbolenza , penso dovuta ai moti convettivi che si incrociavano nelle riflessioni dei tre specchi. Anche la collimazione non è mai stata semplice , però la prova di Ronchi mostrava righe sufficientemente diritte.

Riporto alcune immagini otttenute con il trispecchi , la prima a sinistra riguarda il Sole ottenuto alla focale nominale di 3750 con una reflex in formato Leica il 11 11 1990 quando l'attività solare aera vicino al massimo. Nella fotografia veniva riportato anche l'immagine di un orologio che riportava la data e l'ora. Come filtro è stato usato un filtro in vetro da 120mm metallizzato. La seconda foto rigurda una immagine lunare con età di tre giorni . A destra luna di 9 giorni con focale equivalente di 7 metri, il dettaglio è scadente , ma allora non esisteva l'elaborazione grafica. Infine la foto più a destra una luna di 5 giorni in un mosaico di due immagini ottenuta su pellicola Kodak 2415.

L'apertura a F/15 non era certo adatta per riprese di cielo profondo.

COSTRUZIONI OTTICHE
Negli anni '80 ci fu anche un momento in cui mi dedicai con tanto impegno e tanta passione alle costruzioni otitche. la prima fu una camera di Schmidt che mi occupò per parecchio tempo, ma ottenni un buon risultato e tante soddisfazioni. Ne fui così consento che inviai a Sky and Telescope alcune immagini e la redazione mi chiese una descizione sulla costruzione. Preparai un articolo ( già, perchè nel frattempo avevo cominciato a scrivere qualcosa per le riviste di astroniomia) che fu pubblicato in 5 pagine su S&T del giugno 1989 e qui a sinistra è riportata l'intera copia . L'articolo fu un successo è ricevetti complimenti da tanti astrofili di tutto il mondo con i quali ci fu un lungo scambio epistolare, ovviamente con tempi lunghissimi. ora lo strumwento non è più in uso , conservo , però, gelosamente le ottiche , cioè lo specchio e la lastra correttrice visibili qui a destra.
La camera fu costruita principalmente per avere un campo corretto molto ampio nelle ricerche di nuovi pianetini, ma non fu mai premiato per questo scopo, le dimensioni del diamentro (lastra 200 , specchio 250 F/2.5) non consentivano di raggiungere una buona magnitudine che si arrestava intorno alla 15°. Nel profondo cielo a largo campo , invece diede il meglio di se, anche perchè l'uso di pellicole come la Kodak 4415 ipersensibilizzata abbinata a filtri rossi permetteva un notevole distacco dal fondo cielo. I problemi non erano pochi; primo, la spianatura del campo comunque curvo, la pellicola era tagliata rotonda con un cutter speciale , poi veniva appoggiata su una superfice sferica e un'apposita pompetta la risucchiava e la tratteneva aderente. secondo la pellicola si caricava di elettricità statica e attirava tanta polvere. Non sempre tutto andava per il verso giusto. A sinistra e a destra due immagini classiche mostrano i migliori risulatati ottenuti a Cavriana.
L'esperienza di Schimdt mi convinse verso la costruzione di 5 Schmidt -Cassegrain a modello dei Celestron da 150 mm di diametro. Furono costruiti per gli amici con i quali condividevo la passione per la foto naturalistica e vennero usati con successo nelle nostre cacce fotografiche nei parchi naturalistici italaini. Conservo ancora il mio che vediamo qui sulla destra. Ora inutilizzato perche superato dai moderni teleobiettivi.
La ricerca di pianetini nuovi oltre a richiedere una buona magnitudine , ma ormai, il limite era dettato dal diametro e dalla pellicola, richiedeva un campo il più grande possibile. All'inizio sul 400 lavoravo con una pellicola rotanda del diametro di 50 mm, ma già ai bordi si notava un coma notevole, quidi occorreva adottare un campo corretto più grande. Nelle ricerche satò fuori il correttore di Ross un dispositivo ottico che correggeva il coma degli specchi parabolici. Fatti i dovuti calcoli si passò alla costruzione delle due lenti che avrebbero portato il campo a 70 mm. In pratica si tratta di due menischi di pari potenza, ma di curvatura opposta, cioè uno convervente e l'altro divergente. Ovviamente in vetro ottico e per l'occasione venne scelto il BK7 della Schott ormai reperibile sul mercqato anche se carissimo. I risultati furono soddisfacenti anche se le lenti non trattate con l'antiriflesso provocavano un calo di magnitudine di almeno mezza unità, ma ormai la foto chimica aveva fatto il suo tempo e le nuove camere a CCD non richiedevano certo un campo da 70 mm. E così passò in soffitta dopo poche riprese. A sinistra le due lenti e il barilotto.

L'avvento della CCD , (nel 1992 comprai la mia prima Sbig St-4 ) comportò nuovi problemi quasi opposti ai precedenti , le dimensioni del sensore era infatti di pochi mm e l'unico modo per allargare il campo era quello di ridurre la focale del tele. Ora c'erano i computers e i programmi di ray tracing con cui si poteva progettare l'ottica con verifica del risultato finale. Qui a destra il progetto di un correttore riduttore per parabole. Si trattava dun doppietto acromatico con particolari curvatore che mostrava sull'asse ottico un'ottima correzione con uno spot di circa 5 micron con un campo piano entro 10 mm. Visti i risultati teorici si pensò alla costruzione, ma era difficile reperire i vetri per la correzione acromatica, fortunatemente trovammo un ottico di Brescia che lo costrui finemente dotandolo di trattamento antiriflesso. I risultati sul campo furono ottimi e altri sei astrofili italiani ordinarono il correttore, che fu usato per parecchio tempo fino all'arrivo delle CCD a campo grande. Il fattore di riduzione era 0.67 cosicchè la nuova focale risultava di 1340mm ben più adatta ai piccoli sensori.

 

La scoperta di nuovi pianetini aveva , aveva innescato il desiderio di uno strumento con grande diametro e rapporto di apertura ridotto per aumentare la magnitudine limite. Dopo varie discussioni arrivai alla soluzione di costruire un'ottica originale, almeno in parte, molto simile allo schema Wright. Il progetto ottico prevedeva un primario sferico a F/3 e una lastra correttrice tipo Schmidt, di pari diametro, posta poco oltre il fiuoco . In questo modo avrei avuto un tubo sufficientemente corto e un campo piano almeno per il diametro delle CCD di allora. A quel tempo comprare il solo blank di vetro costava un patrimonio, ma nel frattempo si era cominciato ad incollare due dischi di vetro per ottenere uno spessore sufficiente (purtroppo i soloni insistevano che il rapporto minimo fra spessore e diametro non doveva essere inferiore a 1/5). provai un disco in ceramica con degli incavi nella parte inferiore , ma la soluzione presentò troppi problemi , non ultimo lo smalto. Ordinai quindi due dischi in vetro verde da 54 cm ritagliati da una lastra di 3cm che furono incollati con adesivo speciale con interposti una ventina di tasselli da 2 cm disposti attorno a tre corone concentriche e la soluzione si dimostrò buona e stabile nel tempo.

Lavorare a mano un diametro del genere non era facile per cui costruii un marchingegno per la levigatura dei bordi e la lavorazione delle superfici sferiche che presentavaano una notevole freccia. Costruii anche lo sferometro e tutta l'apparecchiatura per il test di Foucault. La lavorazione dello specchio non presentò particolari difficoltà almeno nella fase di smerigliatura; molto lunga , invece, fu la fase di lucidatura e di controllo della forma, ma alla fine ne uscì una sfera discreta.

In alto a destra la la fase di smeriglatura con una mola diamantata appesa ad una leva lunga come il raggio di curvatura , a seguire la lavorazione di bordi con lo sbozzo sistemato sul tornio e una mola diamantata sul mandrino. Qui a destra l'ultima fase della smerigliatura e il il controllo del raggio di curvatura.

Più difficile fu la realizzazione della lastra correttrice ritagliata da un vetro float da 10 mm e dello stesso diametro dello specchio. Fu scelto il metodo di Schmidt , che già avevo usato con le ottiche precedenti. In breve, il metodo prevede di appoggiare la lastra su un utensile speciale che permette di deformare la lastra attraverso il vuoto ricavato fra i due corpi e di lavorare quindi la superfice esterna come una sfera normale. Ovviamenti i problemi sono tanti, principalmente una lavorazione accuratissima dell'utensile e una perfetta tenuta una volta ricavato il vuoto; E' estremamente complicato controllare la superfice sferica ottenuta poichè presenta un raggio intorno a 100 metri. Ascoltando i consigli di altri ottici scelsi di lavorare la lastra su ambedue le superfici e di controllarla ponendola davanti allo specchio con il metodo di Foucault. Tale posizione non è l'ideale, però permette un'ottima approssimazione.

In alto a sinistra si vede una fase di lucidatura dela lastra eseguita a macchina, a destra il controllo del raggio di curvatura con uno sferometro a tutto diametro,tale misura è un pò delicata pochè si tratta di pochi centesimi di mm. Si può anche notare la lastra appoggiate sull'utensile che presenta una cavità parzialmente riempita d'acqua , ciò per facilitare la depressione all'interno, in primo piano la valvola ricavata sul bordo dell'utensile da cui si estrae l'aria.

Qui a sinistra il controllo dell'ottica con il metodo Foucault , in primo piano la sorgente di luce con il reticolo di Ronchi, in fondo lo specchio non ancora alluminato. Qui a destra lo specchio alluminato che ancora fa bella mostera nell'osservatorio

Al controllo finale ottenni solo una correzione sufficiente , il problema più grosso rimase la lastra correttrice che non si presentava uniforme su un diametro così grande , del resto non era un vetro per ottica, purtroppo una lastra in BK7 di quelle dimensioni superava di molto le mie possibilità. Comunque dalle poche prove fatte direttamente in cielo verso il polo Nord le stelle presentavano un diametro attorno ai 20/100 di mm, che fotograficamente non è male. Nel frattempo erano uscite le nuove camere CCD e comprai la Sbig ST6 che permise un guadagno netto di 2 magnitudini e ciò mi convinse ad abbandonare il progetto che tanto mi aveva appssionato.

LA MERIDANA
Ad un bravo astrofilo sicuramente interessa la misura del tempo a cui sono legati moltissimi fenomeni celesti . Già da tempo avevo in mente di costruire una meridiana sulla facciata della casa , ma non trovando l'ispirazione giusta essendo questa esposta in modo anomalo verso Sud-Est trovai ottima la soluzione dell ' "Hemispherium" un antichissimo orologio solare. In pratica si tratta di una mezza sfera con il centro rivolto in alto, uno gnomone con la punta posta al centro di curvatura proietta tutto il cielo posto al di sopra, sarà così possibile vedere l'ombra del sole per l'intera giornata dal sorgere al tramonto. Tutte le ore saranno equidistanti e corrispondenti a 15 greadi , ciò facilita molto la costruzione. Una volta stabilito il meridiano locale e posta orizzontalmente la sezione della sfera tutto il resto verrà in automatico. Disegnato il quadrante si potranno avere molte indicazioni e con grande precisione. Ovviamente l'ora che corrisponde esattamente al TMEC essendo state predisposte tutte le correzioni per il meridiano locale, il sorgere e il tramontare del Sole per tutti i giorni dell'anno e di conseguenza la durata del giorno. Con buona approssiamzione la data poichè l'altezza del Sole sull'orizzonte è legata all'analemma che cambia colore ogni mese. Le prime due foto forniscono una visione d'insieme della costruzione, Al centro il quadrante con l'ombra del Sole sul meridiano locale che differisce dal meridiano dell'Europa centrale dell'angolo corrispondente alla longitudine. La quarta foto mostra l'ombra del sole in prossimità del tramonto verso l'orizzonte Ovest. L'ultima un primo piano degli analemmi con i mesi in diversi colori , le linee orizzontali riportano un tratto ogni 5 minuti e interpolando si può apprezzare il minuto che rimane la precisione su tutta la superfice.
RITORNO A CASA

La camera CCD cambiò radicalmente e in meglio l'astronomia amatoriale con un vantaggio enorme : si poteva raggiungere una buona magnitudine anche sotto cieli molto inquinati qual'era il cielo di casa mia a Madonna di Dossobuono. Fatte le dovute verifiche decisi di ritornare a casa ed è stata una scelta azzeccata dato che da allora la mole di lavoro svolto è aumentata in maniera esponenziale. Contemporaneamente decisi di cambiare anche la vecchia montatura tipo " Marcon " pensando ad una più adatta al nuovo osservatorio di casa. Qui a destra lo strumento di Cavriana eè smontato e pronto per partire verso San Giovanni in Persiceto dov'è tuttora collocato . A sinistra Giancarlo Sette e seduto Romano Serra

 
In un primo momento decisi di sfruttare la struttura del telescopio Tri-schiefspiegler adattandola ad un tubo che contenesse il Newton da 0.4 visibile a dx. Le riprese erano effettuate con la primissima camera CCD Sbig ST-4 che alla focale di 2 metri poneva parecchi problemi di puntamento dato che si usavano esclusivamenti i moti manuali controllando i cerchi graduati.
Studiai da subito la possibilita di puntare il tele con l'ausilio del PC e dopo qualche mese mi riusci un bel progetto che attraverso due encoder elettronici mi permetteva di visualizzare sul monitor le coordinate altazimutali ed equatoriali. Con i nuovi motori veloci inseriti in coppia con i motori di trascinamento, muovevo il tele controllandone la posizione con la precisione di qualche primo. A dx lo schema elettronico della scheda il cui progetto proviene da ll'osservatorio di Sormano a cura di A. Testa
Nel '93 arrivò la nuova CCD Sbig St-6 molto adatta alla ripresa dei pianetini con un vantaggio di almeno due magnitudini nelle pose di un minuto. Contemporaneamente nuova miglioria al tubo del tele rifatto per la terza volta . Ora con la possibilita di riprendere al primo fuoco. Viene rifatta completamente la movimentazione con due nuovi riduttori sui due assi: corona da 720 denti modulo 2 in AR e corona da 360 denti modulo 2.5 in Decl. Viene sostituita anche la motorizzazione ora con motori step a micropassi gestiti dall'ottimo FS2 della tedesca Astroelektronic. Importante miglioramento anche nel sistema di guida ora con la CCD Sbig ST--4 montata su un beam-splitter, visibile qui accanto. Con una levetta si sollevava uno specchietto che permetteva di scegliere la stella di guida , con un passo indietro la stella finiva sul sensore di ST-4. pic
Nel '97 arrivò una nuova CCD della DTA (italiana di Pisa ) visibile al fuoco newton nella foto sopra a destra, con ottime caratteristiche , ma con molti problemi sia di hardware che di software tanto che appena mi capitò l'occasione la cambiai con una camera americana della Yankee Robotics mod. Trifid 6303 (qui accanto)un'ottima camera che mi diede grandi soddifazioni, ma con un problema enorme dovuto al raffreddamento a liquido che provocava molto spesso condensa della umidità sul sensore e sulla finestra ottica , Nel 2003 nuovo cambio di CCD con la Sbig ST8-ME con Kaf 1600 in classe 1, tuttora in uso dato che non ha mai dato problemi.
Sistemata la camera CCD ripresi in mano il problema dell'ottica principale e mi convinsi di sostituire i due specchi della combinazione Newton , la scelta cadde sempre sul medesimo schema , ma con un'ottica migliore, lo specchio precedente, che pure era di qualità, aveva un problema con l'acclimatamento dato il suo grande spessore di oltre 10cm e richiedeva ore per la stabilizzazione. Venne scelto uno specchio in Astrositall dalle note proprietà di stabilità e fu una scelta vincente.
In contemporanea ho sperimentato l'uso del primo fuoco. In questo caso il sensore è posto entro il tubo nel punto in cui cade il fuoco dello specchio. Qui a destra si può vedere la soluzione con una nuova crociera dotata una sezione particolare scatolata, all'interno passavano i cavi e i tubi per il raffreddamento. Sulla destra del tubo il cooler del liquido. E' senz'altro la migliore soluzione , rimane il problema dei filtri e dell'osservazione visuale.
Il passo successivo fu l'ammodernamento dei moti orari e di conseguenza del puntamento. Casualmente venni a conoscenza che l'ing tedesco Michael Koch aveva progettato e costruito un nuovo sistema elettronico che sfruttando il principio dei micropassi riusciva a comandare con estrema precisione i motori passo-passo con un enorme range di velocità, in pratica dalla velocità siderale alla velocità di puntamento di parecchi gradi al secondo sempre con lo stesso motore e con una fluidità fino ad allora impossibile. Oltretutto il sisistema era interfacciabile con alcuni programmi planetari per cui con il PC si puntava agevolmente qualsiasi oggetto leggendone le coordinate sullo schermo con la precisione di un primo. Era inoltre possibile gestire facilmente una guida automatica. Naturalmente lo comprai subito e cambiò radicalmente il modo di gestire il telescopio

Rimaneva qualche problema meccanico dato che la precisione richiesta nell'accoppiamento tra vite senza fine e corona diventava ora un'assoluta necessità. Diedi incasrico alla ditta B&B di Bologna per la costruzione degli organi meccanici e alla fine ottenni un buon movimento e un ottimo puntamento anche se rimase la necessità di guidare cosa che avevo sperato di evitare. Qui a destra i due progetti della corona e della vite senza fine. la buona precisione dei movimenti mi convinse ad eliminare il grande tele di guida un rifrattore acromatico da 150mm con una focale di 2250mm che venne sostituito con una giuida fuori asse impegnata immediatamente nelle vicinanze del fuoco newton.

Durante una visita al negozio di Giovanni Dal Lago in quel di Thiene, mi venne mostrata un'ottica su schema Maksutov che presentava caratteristiche molto valide per un progetto di uno strumento adatto alle osservazioni planetarie che avevo in mente da un po di tempo. Si trattava di un'ottica con vetri della miglior qualita (astrositall e BK7) e costruita con tolleranze garantite ad 1/10 di lambda e dopo pochi ripensamenti decisi di acquistarla. Durante un incontro con Zen ebbi modo di testare lo specchio principale con il metodo interferometrico, il risultato che vediamo qui accanto non lasciava dubbi: la correzione ottica era molto buona . Durante l'intubazione , però, successe quello che non avrebbe mai dovuto succedere , il tubo cadde e il menisco andò in frantumi. un vero disastro.

Non mi rimase che contattare la casa costruttrice la Intes Micro di Mosca, per cercare di risolvere il problema. Chi ha avuto rapporti con i russi sa che non è facile e difatti i tempi di risposta e di attesa si allungarono enormemente. Nel frattempo mi capitò l'occasione di un Celestron C11 che acquistai ad un prezzo favorevole e lo montai sul Newton per prendere mano sulla foto planetaria (lo vediamo qui nella prima foto a destra). dopo quasi due anni finalmente arrivò l'ottica nuova dalla Russia e così potei terminare l'intubazione e collocsare il Mak al posto del C11, possiamo vederlo nells foto più a destra. sarà uno strumento che mi darà molte soddisfazioni.
Gli ultimi aggiornamenti li possiamo vedere qui a destra, altre al Mak si può vedere un rifrattore apo per camo largo. il primo a sinistra è un Televue NP 101 dalll'ottica eccezionale ma con un sistema di focheggiatura assolutamente inadatto, più a destra l'ultima novita un rifrattore apo SW da 150mm che finora ha mostrato ottime caratteristiche sia ottiche che meccaniche, non mi è piaciuto il correttore in dotazione poichè produce fastidiosi aloni attorno alle stelle più luminose.